MELANIA REA, ERGASTOLO A PAROLISI. IL CAPORALE URLA: 'SONO INNOCENTE'

E' stato lui. Il 18 aprile del 2011 nel bosco di Ripe di Civitella non c'era nessun altro oltre a Melania e Salvatore. E ad uccidere la moglie con 35 coltellate, e' stato il caporalmaggiore Parolisi, l'addestratore di reclute con alle spalle missioni in Afghanistan e Kosovo. Mentre la loro bimba, 18 mesi, era in macchina. Dopo quattro ore di camera di Consiglio, il Gup di Teramo Marina Tommolini ha ritenuto valida la ricostruzione dell'accusa e ha condannato al termine di un processo con rito abbreviato Parolisi alla pena più dura, l'ergastolo. Fine pena mai.

CRUDELTA'. Salvatore e' dunque colpevole di omicidio, aggravato dalla crudeltà, dal vincolo di parentela e dalla minorata difesa. Il Gip ha ritenuto le aggravanti prevalenti sulle attenuanti, e ha condannato il caporal maggiore ad una provvisionale complessiva di due milioni di euro: uno per la bambina, 500mila a testa per i genitori di Melania. Ma non solo: il Gup Tommolini ha anche tolto la patria potesta' a Salvatore: una pena che peserà forse quanto l’ergastolo visto che in questi mesi di carcere Parolisi ha ripetuto piu' volte di volersi aggrappare a sua figlia per andare avanti.

LUI URLA. ''Sono innocente, sono innocente'' e' l'unica cosa che Salvatore ha detto ai suoi legali quando ormai ha capito che era finita. Ma non ha versato una lacrima, almeno non durante tutta l'udienza. Si e' invece lasciato andare ad un pianto dirotto, urlando la propria innocenza, mentre faceva rientro al carcere di Castrogno, alla periferia di Teramo. Quel giorno di aprile dell'anno scorso, dunque, Parolisi non si sarebbe mai recato con la moglie sul pianoro di Colle San Marco e non l'avrebbe mai vista allontanarsi subito dopo l’ora di pranzo per andare alla toilette, come ha sempre sostenuto, ma sarebbe andati direttamente nel bosco di Ripe di Civitella. Dove l'ha brutalmente uccisa, infierendo poi sul cadavere per depistare le indagini.

MOTIVAZIONI. Cosa ha convito il giudice a condannare Parolisi lo si saprà entro 90 giorni, quando saranno depositate le motivazioni della sentenza. Ma contro di lui la procura aveva raccolto una montagna di indizi: dalle tracce di Dna sulle labbra e sull'arcata dentaria della donna ai 52 testimoni che dicono di non aver visto n‚ lui n‚ Melania nel prato di Colle San Marco. Fatto sta che quando il gup ha pronunciato la sentenza di condanna, Parolisi non era in aula. Lui, dicono i legali, voleva esserci e si è trattato solo di una “imprecisione del giudice”. Ma è un fatto che a chiederne la presenza è stato il padre di Melania, Gennaro. Ed è un fatto che quando il gup Tommolini ha fermato la lettura del dispositivo e ha chiesto alle guardie carcerarie di accompagnare Salvatore in aula, lui ha fatto sapere di non volere, visto che aveva ormai saputo il verdetto dal suo avvocato.

LE REAZIONI. “Questa non è una vittoria, la nostra famiglia ha perso” sono state le parole piene di dignità e forza di Michele, il fratello di Melania, subito dopo la sentenza. I Rea hanno accolto il verdetto con un lungo abraccio: papà Gennaro, Michele, zii e cugini si sono stretti l'un l’altro e hanno pianto. Piangeva Gennaro, quando all'uscita dell'aula con un filo di voce ha detto “non ha vinto nessuno, non ha vinto nessuno”, e piangeva la zia Franca, “siamo usciti tutti sconfitti”. ''Siamo soddisfatti perché‚ la sentenza ha rispettato in pieno l'impianto accusatorio, nel quale abbiamo sempre creduto” ha commentato il procuratore capo di Teramo Gabriele Ferretti. Parole ribadite dall'avvocato della famiglia Rea, Mauro Giommi. ''Quando c’è una pena all'ergastolo e una persona che non c'è più non si può essere contenti. Ma siamo soddisfatti perch‚ la sentenza riconosce che il quadro indiziario era fondato''.

SOLDATO. Annunciano battaglia invece gli avvocati di Salvatore. ''E' una situazione difficile ma andremo avanti: leggeremo le motivazioni e impugneremo la sentenza – dice l'avvocato Valter Biscotti – Salvatore èun soldato, un combattente e sa che bisogna combattere questa battaglia lunga e difficile. Ma ci sono diversi punti critici che siamo sicuri di poter superare negli altri gradi di giudizio''. Quando il cellulare della penitenziaria è uscito dal tribunale, Salvatore è stato salutato dai fischi dei teramani assiepati fuori dal tribunale. Forse non li avrà neanche sentiti, con in testa quella parola: ergastolo.
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