Pensare troppo ci ostacola e lo possiamo verificare osservandoci anche nelle più semplici occupazioni e persino in contesti "leggeri", come possono essere il gioco e la conversazione tra amici. In tal senso Facebook, e in generale il mondo social, è un buon campo di prova. Quanto tempo si impiega per scrivere uno stato? Quanto tempo si pensa se usare un termine piuttosto di un altro? Al di là della volontà di esprimere correttamente il proprio pensiero e di voler esporre un concetto più o meno complesso, dietro questa accuratezza vi potrebbe essere un problema di overthinking, che tradotto alla lettera è un "eccesso di pensiero" e, nello specifico, di razionalità.
Tutta colpa della scuola, verrebbe da pensare ascoltando le parole di Kenneth Robinson. Questi, autore e consulente internazionale in materia di istruzione, ha infatti precisato che il bambino, nel momento in cui entra in contatto con il mondo dell'istruzione, impara a direzionare le proprie scelte verso ciò che è "corretto". La stigmatizzazione del fallimento, in particolare, decreta la superiorità del processo razionale a detrimento di quello intuitivo e creativo. Un approccio al mondo, quest'ultimo, che in realtà rappresenta per il bambino il modo attraverso cui ha imparato a conoscere ciò che lo circonda ad una velocità stupefacente. La creatività, intanto, oltre ad essere disinibita, potrebbe essere schiacciata dalla paura del fallimento.
Avere delle alternative è importante, ricorda il dott. Barry Schwartz nel libro "The parody of choice" (lett. "La parodia della scelta"), ragion per cui l'uomo tende ad acquisire informazioni per poter avere delle scelte. Informazione dopo informazione arriviamo però ad un sovraccarico cognitivo (information overload) che fa il paio con l'overthinking e che, capovolgendo le nostre intenzioni iniziali, ci può rendere incapaci di decidere.
Siamo fatti così, quasi programmati per cadere nella trappola dell'eccesso di razionalità. La ricercatrice psicologo Susan Nolen-Hoeksema ha infatti osservato che il nostro cervello è programmato per assorbire più informazioni possibile e stabilire tra loro e con le emozioni una rete di connessioni infinita e complessa. E poi basta poco, perché, come ricorda la psicologa: "quando si è di cattivo umore - ad esempio depresso, ansioso, molto rurbato - si tende ad innescare una cascata di pensieri associati allo stato d'animo. Questi pensieri possono avere nulla a che fare con l'incidente all'origine del cattivo umore".