Compleanno di Tom Jones

“Jones the Voice”, come lo chiamano i suoi compatrioti, nasce con il nome di Thomas Jones Woodward a Pontypridd, nel Sud del Galles, il 7 giugno 1940 da una famiglia di umili origini (il padre lavora nelle vicine miniere di carbone della Rhondda Valley). Comincia presto a cantare, esibendosi come da copione nel coro della chiesa locale: qualche anno dopo però, convertitosi con entusiasmo al credo giovanile dei Teddy Boys, è più facile trovarlo nei pub e nelle sale da ballo a bere e a rimorchiare ragazze che non in parrocchia. A diciassette anni è già sposato e padre di un bambino (che in età adulta diventa il suo manager), e per sbarcare il lunario alterna lavori in fabbrica e in bottega con esibizioni serali nei pub e nei club della zona dove si guadagna, nel 1963, la prima notorietà sotto la sigla Tommy Scott and the Senators. Lo nota il manager ed ex musicista Gordon Mills, che lo porta a Londra e gli procura l’anno successivo il primo contratto discografico con la Decca, dopo aver subito una serie di rifiuti perché lo stile del suo protetto, ispirato al rock and roll di Presley e Jerry Lee Lewis ed ai grandi interpreti neri del rhythm and blues, è giudicato troppo rozzo e sessualmente esplicito. Gli stessi problemi intervengono con la BBC quando si tratta di trasmettere in radio il primo grande successo della coppia, “It’s not unusual” (scritta dallo stesso Mills), che viene tuttavia promosso lancia in resta dalla emittente britannica “pirata” Radio Caroline. Da quel momento le porte della fama si spalancano al giovane gallese, che infila una sequenza impressionante di hits tra cui “What’s new pussycat” e “Never fall in love again” (entrambe di Burt Bacharach), “Green, green grass of home”, “Help yourself”, “Without love” e “Delilah” (tradotta in Italia da Jimmy Fontana), passando con disinvoltura dal pop orchestrale al country, dal rock and roll alle musiche da film e alle commedie musicali. La trafila di dischi d’oro si allunga fino ad includere a fine decennio album come TOM JONES LIVE, TOM JONES IN LAS VEGAS e THIS IS TOM JONES. Alla fine del 1970, grazie anche a nuovi successi come “I (who have nothing)” e “She’s a lady”, le vendite superano già i 30 milioni di dischi e Jones, oltre che un’attrazione nei concerti (dove si registrano frequentemente scene di isteria da parte del pubblico femminile, che è solito lanciare sul palco la sua biancheria intima) è diventato anche un personaggio televisivo popolare grazie a “This is Tom Jones!”, show di grande successo che conduce per la rete americana ABC dividendosi tra gli studi di Londra e quelli di Los Angeles. Trasferitosi a Las Vegas agli inizi del decennio, Jones dirada la produzione discografica ma continua ad esibirsi con frequenza (e con ottimi ingaggi) nei club della città del gioco, diventando amico nel frattempo del “king” in persona, Elvis Presley; torna in studio nei primi anni ’80 reinventandosi questa volta nei panni di cantante country di stile nashvilliano. Nell’87 si riaffaccia di prepotenza anche nelle classifiche inglesi grazie al singolo “A boy from nowhere”, tratto dalla commedia musicale “Matador” da lui stesso interpretata e ispirata alla vita del torero El Cordobes. Poco dopo anche una riedizione di IT’S NOT UNUSUAL finisce in testa alle classifiche di casa: è l’atto ufficiale di riscoperta in Europa del gallese che l’anno dopo viene chiamato dagli Art Of Noise a prestare la sua voce inconfondibile ad una cover della “Kiss” di Prince in chiave elettronica: un altro grande successo, che questa volta si estende al resto d’Europa e agli Stati Uniti facendo di Jones, grazie al relativo videoclip, un volto familiare anche presso la nuova “MTV generation”. E’ del 1991 una collaborazione con Van Morrison per l’album CARRYING A TORCH, mentre l’anno successivo arrivano gli inviti a partecipare al grande festival rock di Glastonbury e ad una puntata dei “Simpsons”, nonché alla piece teatrale “Under milkwood” di Dylan Thomas nell’edizione diretta da Anthony Hopkins. Riscuote un successo limitato e di “culto” il disco del 1993, THE LEAD AND HOW TO SWING IT, in cui si alternano alla console produttori di grido come Trevor Horn, Flood, Jeff Lynne e Teddy Riley. Jones deve pazientare ancora un lustro per sferrare il nuovo, inatteso successo RELOAD, in cui duetta con le nuove leve del pop come Robbie Williams, Stereophonics, Cardigans e Portishead (ma ci sono anche Zucchero, i Pretenders e il vecchio amico Van Morrison) che gli frutta il trionfo planetario del singolo “Sex bomb” e diventa il suo best seller di sempre, con oltre quattro milioni di copie vendute nel mondo. Tornato un’altra volta sulla cresta dell’onda, Jones attira nuovamente le attenzioni del jet set internazionale: Bill e Hilary Clinton lo invitano ad esibirsi nel 2000 davanti al Lincoln Memorial di Washington per le celebrazioni del nuovo millennio in corso alla Casa Bianca, l’anno successivo è sul palco di Modena per l’edizione annuale del Pavarotti & Friends e nell’estate 2002 partecipa alle celebrazioni per il Giubileo della Regina. Si fa vivo anche Wyclef Jean dei Fugees, che si offre di produrgli il nuovo album MR. JONES (2002). Il disco non replica il successo di RELOAD, mentre a riportare l'artista all'attenzione del pubblico e della critica è, sorprendentemente, PRAISE & BLAME (2010), un album "roots" prodotto da Ethan Johns (Kings Of Leon, Ryan Adams, Ray LaMontagne) in cui il vecchio leone si cimenta con cover di Bob Dylan, gospel tradizionali e standard blues accompagnato da musicisti di talento come Booker T. Jones, Benmont Tench e Gillian Welch, raggiungendo il numero due nelle classifiche inglesi. Altrettanto convincente risulta il "sequel", SPIRIT IN THE ROOM, in cui il gallese (sempre affiancato da Johns) reinterpreta canzoni di Leonard Cohen, Paul McCartney, Tom Waits, Richard Thompson, Paul Simon, Low Anthem, Joe Henry, Odetta e Blind Willie Johnson con il piglio del grande interprete. La sua popolarità si allarga intanto anche alle nuove generazioni grazie alla partecipazione in veste di giudice al talent show televisivo "The Voice", trasmesso dalla Bbc.
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