“Il mio nome è Ayrton e faccio il pilota”… Inizia così una canzone. E quelle parole risuonano nella mente ogni Primo Maggio, tra una canzone a San Giovanni e un raggio di sole. Parole che ricordano quel giovane pilota brasiliano scomparso una domenica di 19 anni fa alla fine di una curva, il “Tamburello”. Una curva lunga e veloce di quelle che Ayrton amava. Quelle curve in cui scali fino ad arrivare in seconda e poi riapri il gas innestando una marcia dopo l’altra. Erano tempi un cui il Kers non c’era e l’unico amico – e al tempo stesso nemico – del pilota era quel cordolo. Quell’incedere di bianco e rosso che possono tenerti in pista o sbatterti lontano; lì, dove neanche un terrapieno di sabbia può fermarti.
Ayrton morì così. Al fondo di una curva. Non una qualsiasi. Il Tamburello: la curva dell’autodromo di Imola che lancia i piloti verso il traguardo o verso la morte. Preceduta dalla variante Villeneuve – scherzi del destino – e poco dopo la mitica “Rivazza” come cantava Vasco. Senna morì proprio lì. in mezzo ad una terra fatta di motori, dopo una curva che porta il nome di un’artista dell’automobilismo, su una pista in memoria del più grande costruttore di veicoli da corsa.
E’ morto al culmine della sua carriera. E’ morto all’inizio della sua prima stagione sulla Williams. La macchina più forte guidata, finalmente, dal pilota più forte di sempre. Perché Ayrton è stato il migliore. Non ha vinto quanto Schumacher (o Fangio) ma ha emozionato più del tedesco – capace di rimanere impassibile anche mentre la sua macchina prendeva fuoco, a Zeltweg nel 2003 – ha dato a tutti gli amanti di F1 una ragione per rimanere incollati davanti alla tv. Eravamo tutti là in attesa di un suo sorpasso, di un suo guizzo, di un suo giro veloce: di una sua pole. Lui il re della prima posizione era riuscito nell’impresa di inanellare 65 pole positions (record battuto solo da Schumacher – 68 – ma con molti gran premi disputati in più) di cui 8 consecutive (record imbattuto in F1).
Anche quella domenica era andato forte ma non gli doveva esser bastato. Voleva che il piantone dello sterzo fosse modificato per migliorare la visibilità. Era sicuro del suo team, era il team migliore. Le modifiche furono apportate secondo le richieste di Senna e il piantone dello sterzo fu risaldato a mano. Chissà come sarebbe andata se…
A Imola c’era il sole quel week end. Chissà come sarebbe andata se fosse piovuto e le auto non avessero spinto al massimo i motori. Chissà… E chissà cosa pensava Ayrton mentre metteva nella sua monoposto la bandiera austriaca, lui brasiliano fino allo spasmo era pronto a sventolarla in memoria di Roland Ratzenberger, morto durante le prove del venerdì in seguito ad un’uscita di pista alla curva Villeneuve. Forse era sicuro di vincerla quella gara. D’altronde il suo motore Renault 10 cilindri era una spanna sopra tutti gli altri e lui era il migliore.
Dopo la bagarre iniziarle entra le safety car. Coda di macchine fino al 7° giro, il solito tira e molla per non rovinare l’aerodinamica e via riparte il gran premio. Senna attacca e mette dentro una marcia dopo l’altro come si fa quando si ha voglia di mangiare l’asfalto. Quando si viene dal Brasile e si capisce che in quel momento non si corre solo per se stessi ma per un intero popolo che dalle tue mani cerca il riscatto. E allora Senna aggredisce le curve fino al Tamburello. Fino a quella saldatura che si spezza, come un osso che non ha più la forza di reggere un corpo. La macchina è ingovernabile, Ayrton tenta la frenata ma… 14.17; 1 Maggio 1994. L’uomo che aveva fatto innamorare il mondo delle corse esce di pista e va a sbattere contro un muro. Ricordo il silenzio che usciva dagli appartamenti accanto al mio; quello dei cronisti. Ricordo le prime immagini che mostrano la testa muoversi. Ricordo il sospiro di sollievo nel vedere quel capo spostarsi da sinista a destra, convinti che il peggio fosse passato. Poi l’elicottero, la corsa verso l’Ospedale Maggiore di Bologna e il tragico epilogo. Senna morì alle 18.40 senza mai svegliarsi dal coma.
Qualche giorno dopo due milioni e mezzo di brasiliani parteciparono al suo funerale. Un corteo di uomini piangenti giunti da ogni angolo del Brasile per onorare quell’uomo che li aveva portati in cima al mondo. Diciannove anni dopo le immagini dell’incidente ritornano vive nella mente insieme alle parole di Lucio Dalla: “E ho deciso una notte di maggio in una terra di sognatori ho deciso che toccava forse a me”.