Le fave devono essere fresche e ancora nei baccelli o frutti, che devono essere di un bel verde intenso, senza macchie. Sgranare i semi e mangiarli una alla volta fa parte del divertimento. Inoltre conservano così intatta la dolcezza e la freschezza dell'interno e il retrogusto amarognolo della pelle che li ricopre.
Il pecorino deve essere quello romano DOP (Denominazione di Origine Protetta), con "la lacrima" come si suol dire, quello molto saporito insomma o anche da grattare. E' un formaggio di origini antichissime e la sua preparazione è ancora quella di una volta: viene fatto con solo latte di pecora e caglio d'agnello, cotto e infine salato a mano. Deve riposare almeno 5 mesi e poi può essere gustato in tutta la pienezza del gusto deciso e caratteristico. Lo si riconosce perché viene stampata sul fianco una testa stilizzata di pecora.
Questi due ingredienti messi insieme fanno un piatto ricchissimo di sapore e di nutrimento, grazie alle tante proteine e vitamine presenti nel legume e al latte di pecora.
E' assicurata la soddisfazione del palato... ma anche la sete. Perciò non dimenticate il vino rosso. Sì, perché per tradizione romana ci si disseta con una romanella o un rosso dei Castelli. L'acqua è proibita, si sa infatti che arrugginisce le budella!
Una curiosità: le fave erano già molto apprezzate dagli antichi Romani, invece i Greci credevano che nei baccelli si nascondessero le anime dei morti. Questa credenza aveva preso piede anche tra persone di elevata cultura, tra cui per esempio Pitagora, che ne accenna in alcuni suoi scritti. Ancora oggi a Roma il 2 novembre si preparano le "fave dei morti", che sono dei dolcetti di mandorle e cannella a forma di fava. Ma questa è un'altra tradizione.